ISRAELE: LA STERILE VITTORIA DI BIBI

A reggere i prossimi destini di Israele, con ogni probabilità sarà un governo della destra nazionalista, guidato ancora da Benyamin Netanyahu. Durata fino a notte fonda, l’ altalena degli scrutini ha infine sbaragliato i pronostici che attribuivano una sia pur limitata maggioranza al centro-sinistra di Itzaak Herzog e Tzipi Livni. Il partito del premier uscente, il Likud, conquista 29 seggi, nelle precedenti elezioni del 2013 ne aveva ottenuti 18. Ventiquattro quelli attribuiti al Fronte Sionista di Herzog. Gli arabi, che rappresentano il 15 per cento dei 6 milioni di elettori, si sono presentati per la prima volta con una lista unica e hanno ricevuto 14 seggi, un risultato notevolissimo, sebbene in questo quadro generale appaia difficilmente spendibile. Segue un frazionamento molecolare, ben 26 erano le liste presenti nella consultazione.

Salvo sorprese al momento del tutto imprevedibili, il voto spinge Israele in un vicolo cieco. A cominciare dalla questione che entrambi i maggiori contendenti hanno più enfatizzato nella campagna elettorale: una trattativa seria con i palestinesi per giungere alla creazione di due stati, le cui frontiere siano reciprocamente garantite, che Herzog ha auspicato con vigore e Netanyahu escluso categoricamente. Irrisolta anche la scelta sulla definizione costituzionale di Israele, se deve restare Stato ebraico e democratico come è dalla nascita; oppure divenire patria nazionale del popolo ebraico come proposto da Netanyahu. Su questo punto è scoppiata la crisi e la centrista Tzipi Livni ha abbandonato la maggioranza. Con la conseguente scelta di Netanyahu per andare al voto anticipato di ieri, che per l’ immediato gli ha dato  ragione.

La vischiosità delle scelte elettorali che indeboliscono la governabilità d’ Israele non è di oggi. Basti considerare che nella sua storia mai, nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta della Knesset, la Camera unica del Parlamento. Pertanto i governi sono sempre stati di coalizione. L’ egemonia culturale dei laburisti ha nondimeno caratterizzato i primi decenni dello  stato ebraico. Grazie al peso preponderante dei padri fondatori, tutti azkenazi, cioè ebrei nel nord Europa, spesso intellettuali, formati più o meno rigorosamente nel socialisteggiante Bund. I conflitti con i paesi arabi e il problema demografico, con il fortissimo incremento dei vicini contro quello scarsissimo  degli ebrei, ha finito però per preoccuparei governi di Tel Aviv.

E’ cominciata così una politica di ripopolamento che ha portato in Israele masse crescenti di ebrei russi e dei paesi africani, soprattutto sefarditi, il cui apporto culturale è di segno ben diverso. Nessuno dei paesi da cui provengono ha infatti permesso loro di vivere esperienze di democrazia matura e far propri anche criticamente i valori delle istituzioni create e alimentate grazie all’ apporto di un confronto ordinato e continuo tra maggioranza e minoranza, con l’ alternanza come valore fondamentale. Il laburismo non ha saputo stabilire un dialogo proficuo con questi nuovi cittadini, maggioranza assoluta tra i coloni, che hanno confluito quasi interamente nei partiti di destra. Con gli effetti che il voto di martedi riafferma, acuendo i problemi che Netanyahu adesso  potrebbe sentirsi tentato di risolvere di forza.

 

(Image credits: “BenjaminNetanyahu” by White House photo by Pete Souza – originally posted to Flickr as P051809PS-0307, cropped – The Official White House Photostream. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons)

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