NELLA BARCACCIA DEL CALCIO

L’ importante è la narrazione, affermano numerosi storici (e sempre più numerosi politici di successo) Cioè: come si raccontano le cose. Da che punto di vista, secondo quale ordine e misura. Nel calcio non è diverso, infatti è parte (glamour) della vita.  C’è violenza anche nell’ amore, sebbene istintiva e sublimata. Senza tuttavia che il letto debba necessariamente trasformarsi in una bolgia o in una piazza romana in attesa del fischio iniziale dell’ arbitro.

Nietzsche non l’ ha detto espressamente ma anche De Coubertin è morto. Da un bel pezzo. Così che metti l’ iper-professionismo nella pentola sempre ribollente della società dei consumi di massa ed ecco lo sport a rischio continuo di corruzione e violenza. Rammaricarsene è segno di bon ton; stupirsene è stucchevole ipocrisia. Da parte dello stato, senz’ altro. Ancor più da parte delle società sportive che stanno al centro dell’ uragano e fingono di essere a prendere la tintarella alle Bahamas.

Sempre per restare nella linguistica, il testo è quello che è: se l’ arancia meccanica (vedi Burgess 1960/Kubrick, 1971), la violenza gratuita, è diventata da decenni una modalità perversa della società itinerante di massa, la sua manifestazione più epica –il calcio- non poteva restarne fuori. I protagonisti, hoolingans, visigoti, unni, vandali che li si voglia chiamare altro non sono che giovani delle periferie subculturali europee (e del mondo intero) che si mettono alla moda nell’ illusione di esistere. Correggere quest’ andazzo è questione storica, Chi vivrè, vedrà.

Ma intanto oltre al testo c’è un sottotesto, contingente e terra-terra. Perchè deve apparire normale che per una partita di calcio (che personalmente seguo con interesse e piacere) venga bloccato il traffico, venga deviata la vita d’ interi quartieri: commerci, abitudini, urgenze di decine di migliaia di cittadini una o più volte la settimana? Perchè questi ultimi, ovvero il denaro pubblico, devono sopportarne i costi , ai quali non infrequentemente si aggiungono quelli dei danni umani  e materiali provocati dai facinorosi (che stavolta sono olandesi, ma più spesso italiani). E’ da questa normalità sviata, che nasce l’ abnormalità violenta.

Lo stato narratore, le sue istituzioni preposte, responsabilizzino gli attori-registi, trovino le forme giuridiche e amministrative per una più equa distribuzione dei costi e dei disagi provocate dalle manifestazioni calcistiche. Scoprono forse oggi, che il branco dei tifosi scatenati nelle nostre città d’ arte sono come elefanti in una cristalleria? Rendano obbligatorio un controllo effettivo degli ultras. Lo chiede anche la polizia: almeno a giudicare dalle parole dei suoi rappresentanti sindacali, neppure la P.S. crede che manganellare di più sia la soluzione.

Esempi non mancano. A Londra, il Chelsea ha identificato uno per uno i suoi tifosi più riottosi e non li fa più entrare allo stadio. Il Real Madrid  ha identificato attraverso le telecamere ed espulso 17 soci per aver reiteratamente insultato Leo Messi sul campo. Il Barcellona ha annunciato che farà altrettanto con i suoi che sul Camp Nou hanno gridato di tutto a Cristiano Ronaldo. Non è folclore, è un minimo di buona creanza. Già che ci tocca vivere in un mondo orwelliano, almeno usufruiamo degli ipercontrolli che comunque già ci sono.

 

(Image credits: “Barcaccia”. Licensed under Domini públic via Wikimedia Commons)

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Un commento su “NELLA BARCACCIA DEL CALCIO

  1. Parole sante. Davvero. Da non tifoso penso che il tifo sportivo, se ben esercitato, costituisca una forma di aggregazione e canalizzazione degli entusiasmi tutto sommato positiva. I giochi del resto esistono sin dall’antichità.
    Tuttavia il calcio, almeno in Italia, secondo me è andato oltre. Oscar Wilde diceva: «Il rugby è un gioco bestiale giocato da gentiluomini mentre il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie». Ecco, a me pare che quanto meno a volte le bestie nel calcio siano sicuramente tra i tifosi.
    C’è da dire che se lo sport ha senza dubbio un potenziale educativo enorme nella crescita delle persone il calcio di oggi, questione di business più che di sport, rischia di diventare diseducativo. Diseducativi sono secondo me i modelli dei calciatori ricchi con le loro mogli/compagne veline, diseducativi i loro comportamenti a volte scorretti. Diseducative sono le partite truccate, gli affari più o meno illeciti di alcuni dirigenti, allenatori, giocatori in pensione, di cui le cronache sono state e sono frequentemente testimoni.
    Insomma, secondo me, divertitevi pure, se il calcio vi diverte! Ma che lo sport torni ad essere sport e il tifo tifo: una forma di colorito e rumoroso sostegno nei confronti dell’atleta o della squadra del cuore.
    Per piacere, però, basta davvero con la violenza gratuita. Non intendiamo più pagare i danni (materiali e morali) del mancato controllo, da parte delle Società di calcio, dei pochi (o tanti) socialmente dissociati che approfittano di questi eventi per sfogare i loro istinti animaleschi.

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