GIULIETTO CHIESA, UN GIORNALISTA APPASSIONATO.

Giulietto Chiesa

Livio Zanotti, lo storico e allora dissidente sovietico Roy Medvedev e Giulietto Chiesa, Mosca, 1979

E’ difficile immaginare che non sia più tra noi. Sebbene non sia così insolito sentirlo dire di persone molto attive che ci lasciano all’improvviso, per Giulietto Chiesa è impossibile non ripeterlo. Non era inesauribile e tanto meno frenetico; però non lasciava mai un’impresa a metà. E d’imprese nella sua vita ne ha messe in marcia più d’una, tutte mosse da una fortissima passione politica, nata nell’adesione giovanile al partito comunista e maturata negli anni (molti dei quali trascorsi distinguendosi nel lavoro di giornalista dall’allora Unione Sovietica) in una ricerca spesso individuale di verità.

Si poteva dissentire e anche essere apertamente contrari a certe sue interpretazioni dei fatti chiamato a spiegare e commentare dal mestiere. E’ accaduto a più d’uno dei suoi colleghi e amici. Con contrasti talvolta restati irrisolti, poiché Giulietto era un uomo gentile ma di temperamento e poco portato a cedere, chiunque fosse il suo interlocutore. Ma nessuno ha mai pensato che a indirizzare i suoi punti di vista ci fosse altro che le sue profonde convinzioni. E’ stato così nella sua milizia di partito, nei giornali per i quali ha scritto, finchè ha deciso di fondarne di propri per sentirsi pienamente libero di esprimersi.

L’ho conosciuto nel 1979, al suo arrivo a Mosca per assumere l’ufficio di corrispondenza dell’Unità, il giornale del PCI. Prima, non avevo avuto occasione di sentire il suo nome. Era ligure-piemontese, e mi sembra che stesse a Genova con incarichi di partito. Sulle prime si tenne piuttosto sulle sue, ma presto cominciò a frequentare casa mia (in realtà l’appartamento destinato ai corrispondenti del giornale La Stampa, in un compound abbastanza centrale riservato agli stranieri sul Kutuzovskij Prospekt), e a trattenervisi a lungo. Aveva spesso indosso una lunga giacca di cuoio nero, e con i folti baffi alla Stalin evocava l’icona del vecchio bolscevico.

Non appariva particolarmente loquace, ma s’intuiva intelligente e colto. La sorpresa, tuttavia, arrivò una sera, dopo cena, quando tirò fuori una scatola di Risiko, un gioco di geo-strategia da tavolo in cui torna utile anche un certo senso politico, sfidando me, mia moglie e -inevitabilmente- Giulia ed Emiliano, i nostri due bambini, a quel punto risoluti a non lasciarsi escludere. Rivelato il suo animo ludico, che ne anticipava tratti di competitività ma anche di delicatezza e umorismo, Giulietto ebbe la pazienza di accompagnare il nostro apprendistato. Non conoscevamo il gioco. Che da quella sera, però, divenne spesso l’intrattenimento del dopo-cena.  

Finita per me l’epoca moscovita e anche quella de La Stampa (che lasciai all’inizio degli anni Ottanta) ho rivisto Giulietto, e la nostra cara amica e collega Fiammetta Cucurnia divenuta nel frattempo sua moglie, anni più tardi. In un mio passaggio per Mosca, diretto in Afghanistan, in cui non avendo trovato posto in albergo ci accampammo per qualche notte a casa loro, il cameraman della RAI-TV che mi accompagnava, Romolo Paradisi, ed io. Poi il lavoro ci ha portato in geografie diverse. Ma intanto Giulietto era diventato un autorevole esperto di vicende russe e internazionali e si avviava a tornare alle origini: alla politica attiva, a Bruxelles e a Roma, senza mai abbandonare il lavoro di analista internazionale. Fino all’imprevedibile, ultimo respiro.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.