UN TRAMONTO MOSCOVITA – Il sogno Imperiale di Putin – Parte 2

La strategia di Vladimir Vladimirovich Putin non appare irrealistica. Non sembra infatti ambire a  una impossibile revanche del gigantismo sovietico; essa si limita a mirare alla riconquista e al consolidamento dei confini che furono dell’ impero zarista. Una ricostruzione della geografia nazionale che conservi il controllo sulle immense risorse naturali della Federazione, un buon grado di sicurezza militare e l’ egemonia della cultura russa sulle altre di uno stato comunque multietnico e multiculturale. Su queste basi, egli e il suo stato maggiore ritengono di poter riunire una maggioranza sociale e politica sufficientemente solida attorno ai loro obiettivi politici.

Non è affatto escluso che su questa strada abbiano buone possibilità di compiere un lungo percorso. Si tratta di ricostruire un sentimento patriottico al quale già Stalin, in dispregio dell’ internazionalismo proletario e comunista, fece ricorso nella lotta interna al partito e soprattutto nel momento più drammatico della seconda guerra mondiale, riuscendo a trascinare dalla sua parte anche la chiesa ortodossa. I tempi sono cambiati, neanche a dirlo. Non la retorica sull’ eccezionale capacità di resistenza e di sacrificio del popolo russo, al quale Putin ricorda ogni volta che ne ha l’ occasione che seppe sconfiggere Napoleone e Hitler. Non ha perciò ragione di temere oggi nè l’ Europa nè l’ America.

Si capisce anche perchè passi del tutto sotto silenzio sconfitte e tragici errori, frutto di antichi vizi asiatici, crudeli rivalità personali e doppiezze bizantine. Il rovescio zarista contro il Giappone nel 1905 fu una catastrofe che rivelò crudamente l’ arretratezza industriale e logistica del paese. La sua debolezza militare, strategico-concettuale, politica e non appaia fuori luogo definirla anche morale, fu posta in evidenza nel 1940 dalla guerra contro la piccola Finlandia. Che non sfuggì a Hitler e ai suoi generali, i quali ne tennero gran conto nella preparazione dell’ Operazione Barbarossa, l’ invasione a lungo meditata dell’ Unione Sovietica. Stalin ne rimase stordito, al popolo russo costò 20 milioni di morti.

Adesso dell’ Ukraina nessuno parla. Il tema viene vissuto come un tabù. Sono state prolungate e nondimeno ormai concluse le feste per il ricongiungimento della Crimea alla Grande Madre. Un’ acquisizione spiegabile più con la storia e gli equilibri internazionali che con la geografia, l’ etnografia e i diritti dei popoli. Con cui Putin per il bene della Russia e suo proprio avrebbe fatto meglio a conformarsi, contento e soddisfatto, invece di cedere al gusto del rischio audace e puntiglioso del giocatore che dicono sia. Senza entrare nel merito dell’ annosa vertenza sul ruolo delle personalità nella storia, l’ identikit psicologico dei governanti, il loro carattere personale sono certamente tutt’ altro che secondari nelle vicende d’ ogni paese.

Per il bene e per il male, sia pure solo dal proprio punto di vista, Putin s’ identifica molto con le sorti della Russia. Ha fatto propri i torti che ritiene il suo paese abbia subito nel dissolvimento della Jugoslavia e poi nelle sanguinose vicende del Kossovo, in cui dalla scomparsa dell’ Unione Sovietica certo è apparsa evidenziata la sua caduta d’ influenza. Per restare all’ epoca contemporanea, è dal diciannovesimo secolo che la Russia tenta di affacciarsi sul Mediterraneo e ancor più antica la sua vocazione a sentirsi la protettrice degli slavi del Sud. Ma Putin ne fa una questione di orgoglio ferito, una questione prevalentemente personale.

Per contro, non soprende quindi che consideri una rivincita di cui essere orgoglioso aver bloccato gli Stati Uniti di Obama nel loro piano anti-Assad e assista con spericolata soddisfazione all’incancrenirsi della guerra in Mesopotamia e agli orrori del Califfato. E’ convinto che questo suo successo abbia un valore strategico globale, del quale gli occidentali devono tenere conto. Gli americani soprattutto sul piano militare; gli europei e in particolare tedeschi, italiani e francesi nei rapporti commerciali.  E’ ad essi che pensa quando nel corso della visita in Turchia straccia il progetto Southern Stream (così tagliando il proseguimento del gasdotto omonimo) e dice:” Se volete il gas, venitevelo a prendere in Turchia”.

Pozzo_petrolioLa caduta dei prezzi petroliferi Putin l’ interpreta come il risultato di un complotto ai suoi danni, un episodio della guerra personale tra lui e Obama. I due davvero non si amano. E gli Stati Uniti sono come paese (ci sono però al suo interno potentissimi gruppi d’ interesse che ne ritengono svantaggiati) l’ economia che meno ne subisce i contraccolpi e più guadagni ne sta ricavando indirettamente. Genera tuttavia il dubbio di un tratto paranoico, l’ immaginare che un cataclisma mondiale come quello scatenato sui mercati energetici possa essere ordito da poche persone contro poche altre. Sta di fatto che Putin mostra di essere deciso a voltare le spalle all’ Occidente intero. Progetta di trasformare la Russia nel grande fornitore energetico della Cina, nel giro dei prossimi 4-6 anni. Tempi favorevoli alla Cina, che dall’ isolamento russo vede ogni giorno più rafforzata la propria condizione negoziale.

Il governo dei problemi immediati viene affidato all’ estemporaneità delle iniziative tattiche. Le minacce ne sono un’ arma importante.  Al Cremlino sanno bene che l’ Ukraina cessa ufficialmente da subito di acquistare gas russo, mentre la Norvegia offre all’ Europa continentale di aumentare le sue forniture. E’ diretta all’ intero blocco scandinavo da sempre più o meno ostile  -orso polare vs. orso siberiano-, la inedita minaccia di potenziali ritorsioni nucleari rivolta alla Danimarca se accetterà l’ installazione di missili NATO sul suo territorio. Si presenta come un bis del braccio di ferro degli anni Ottanta su SS20 e Pershing, da cui l’ allora Urss non uscì bene ed è auspicabile in ogni caso che stavolta venga risparmiato al mondo. Sebbene gli strateghi russi non facciano mistero di considerare vitale il loro controllo sul mar Baltico e ancor più sull’ Artico, il cui valore economico e strategico è evidente a tutti ed essenziale per la vita del nostro pianeta.

Grigorij Barzov

 

(Image creit: Jedimentat44 @ Flickr)

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